L'albergo dei misteri

C’era quell’albergo, di una eleganza un po’ appannata. Probabilmente era stato in grado, in passato, di mantenere certe promesse di lusso e garbo. Aveva ad esempio una bella porta girevole in legno, un particolare che sempre inclina alle fantasticherie*.

Marco e Cristina avevano viaggiato tutto il giorno per giungere in quell’albergo, di cui avevano sentito tanto parlare. Erano partiti da Roma, incuriositi dalle informazioni ricevute da amici. Si fantasticava tanto su quel posto e loro, curiosi per natura, avevano deciso di farci una capatina per scoprire cosa c’era di vero in quello che si raccontava. Erano sempre stati attratti dal mistero e quell’albergo aveva fama di nascondere cose molto strane. Probabilmente lo scopo era quello di attirare i turisti, ma perché non andare a vedere di persona?

Giunsero nel tardo pomeriggio in quel paese, che per un singolare scherzo del destino, si chiamava “Arcano”, un nome che già di per sé era tutto un programma.

Il pullman li lasciò nella piazza principale e la loro prima impressione fu davvero positiva, era un paesino di montagna, dall’aria fresca e pulita. Al centro della piazza c’era una bella fontana con la statua di un’acquaiola che aveva fra le mani un’anfora con effigi romane, dalla quale scorreva acqua a cascatelle.

Tutt’intorno c’erano case basse dalle tinte vivaci con fiori sui balconi che creavano punti di colore e di luce. Da lì si vedeva il paese che si sviluppava tutto in salita e sembrava arrampicarsi sulle alture: in alto si scorgeva il famoso albergo, seminascosto da una fitta vegetazione. Marco e Cristina chiesero informazioni su come raggiungerlo e la risposta fu che bisognava chiedere a qualcuno del paese di farsi accompagnare. Il proprietario del bar si rivolse ad un giovane seduto a bere.

- Gabriele, questi due signori desiderano essere accompagnati all’albergo, puoi farlo tu?

- Volentieri! – disse il giovane – Andiamo, ho l’auto qui vicino.

Lo seguirono e salirono sulla sua macchinetta, piuttosto malandata. Non era granché, ma dovevano accontentarsi, non potevano andare tanto per il sottile.

Fortunatamente la strada da percorrere non era molta, perché l’auto proseguiva a velocità moderata arrancando in salita.

Scesero davanti all’albergo e ringraziarono per il passaggio il ragazzo che lasciò loro il suo numero di cellulare, nel caso avessero avuto ancora bisogno di lui.

Diedero uno sguardo d’insieme: “Casa del Vecchio Mulino” diceva l’insegna. L’aspetto dell’edificio era piuttosto austero e per certi versi inquietante: pareti grigio scure, finestre e portone marroni e in alto terrazzi con merli, che li facevano sembrare torrioni. L’edificio come minimo doveva avere qualche secolo. Mostrava un fascino sottile e misterioso, che sembrava attirarli, invitandoli a scoprire un mondo nascosto. Varcarono la porta girevole in legno scuro e si ritrovarono in un atrio spazioso. Un signore in livrea li accolse in modo molto cerimonioso.

- Accomodatevi, prego. Cercate una stanza?

- Sì – risposero insieme – ma abbiamo già la prenotazione.

- A nome di chi?

- Marco Verri e consorte.

- Prego, accomodatevi, la vostra stanza è la 18. Il cameriere si occuperà subito dei bagagli. Intanto ecco la chiave. La cena sarà alle 20,00 e la sala è in fondo a destra.

Ringraziarono e si avviarono all’ascensore.

Premettero il pulsante del secondo piano e iniziarono a salire sobbalzando, tanto che temettero di rimanere bloccati, ma per fortuna arrivarono sani e salvi. Uscirono in un corridoio stretto e lungo nel quale si aprivano le porte delle stanze: la loro era l’ultima in fondo. Quando entrarono videro che era arredata con mobili semplici ma di gusto: un letto matrimoniale in ferro battuto, una cassapanca e un armadio. Il comò stile ottocento attirò la loro attenzione: la ribaltina nascondeva quattro piccoli cassetti, due per ogni lato, ciascuno con la propria chiave, che facevano pensare a nascondigli segreti e misteriosi. Sopra il comò era appeso uno specchio, con una cornice anticata, che ben si addiceva a tutto l’insieme.

Stanchi per la giornata trascorsa, Marco e Sabrina decisero di farsi portare la cena in camera e andarono a dormire presto, sperando in un po’ di riposo.

Si erano appena addormentati, quando uno strano cigolio giunse all’orecchio di Sabrina.

Da dove proveniva quel rumore, se la porta era chiusa dall’interno?

La luce dell’abatjour sul comodino creava un’atmosfera surreale e la ragazza cercava di cogliere ogni minimo rumore. Improvvisamente la luce si spense.

- Vieni con me, ti mostrerò cose che neppure immagini – sussurrò una voce misteriosa.

- Cos’è questo scherzo di cattivo gusto? – urlò Sabrina ed accese la luce centrale.

Ma nella stanza non c’era nessuno e suo marito continuava a dormire ignaro di tutto quello che stava accadendo intorno a lui.

La ragazza cominciò a tremare come una foglia: a chi apparteneva quella voce? Lì c’era solo Marco che pareva in catalessi.

- Chi sei? Che cosa vuoi? – chiese agitata.

- Non aver paura – rispose la voce – non voglio farti del male. Sono lo spiritello dell’albergo e abito in questo edificio da talmente tanto tempo che neanche ricordo da quando.

Detto questo, tacque.

Sabrina si volse verso il marito e provò a svegliarlo, scuotendolo, ma lui continuava a dormire profondamente. Allora si alzò e cercò di individuare da dove proveniva la strana voce: aveva avuto l’impressione che giungesse dalla parte del comò.

Si avvicinò e cominciò a tastare la parete: nelle vecchie case c’è sempre un passaggio segreto e chissà magari ne avrebbe trovato uno anche lei.

Ad un certo punto percepì uno spostamento sotto le sue mani e non fece in tempo ad accorgersi di quello che stava accadendo, quando si sentì attirare attraverso un’apertura che immediatamente si richiuse alle sue spalle.  

Rimase immobile, paralizzata dalla paura, nella completa oscurità. La solita voce cercò di rassicurarla:

- Stai tranquilla, nessuno vuol farti del male.

Il tono era persuasivo, ma chi era a parlare?

- Accendete una luce, per favore, ho paura del buio! – chiese Sabrina quasi implorando.

Un tenue chiarore inondò la stanza e lei riuscì a scorgere una luce in movimento, simile all’alone di una lampada fluorescente.

- Chiunque tu sia, mostrati, ti prego fatti vedere!

- Non posso, non sono materia, posso solo farmi sentire. Ora, se avrai il coraggio di seguirmi, ti svelerò alcuni segreti di questo palazzo. So che sei venuta qui con la speranza di scoprire la verità sulle dicerie che circolano su questo luogo: un tempo, sai, era una grande fortezza.

La luce la precedeva e la invitò a seguirla lungo una scalinata, che lei percorse intimorita, quasi a tentoni, ma ormai era in ballo e doveva ballare. Si ritrovò in un androne intorno al quale si intravedevano delle porte. La luce si fermò davanti ad una di esse che si aprì come per magia. Sabrina entrò e vide che c’erano altre luci in movimento.

- Ma cosa sono? – chiese allibita.

- Sono i miei fratelli spiritelli – rispose la voce – anche loro abitano qui e di notte si insinuano nei sogni degli ospiti dell’albergo per far vivere loro esperienze fantastiche, altrimenti impossibili. Lo fanno per lo più con le persone razionali che nella quotidianità vivono una realtà priva di emozioni. Nel sogno, invece, tutto diventa possibile: incontri con il passato, con il futuro, con l’amore e con imprese eccezionali. Dopo un’esperienza del genere, si torna alla realtà quotidiana con una dose di coraggio in più e uno spirito di avventura che prima non si possedeva.

Detto questo, lo spiritello uscì dalla stanza e si diresse verso un’altra porta, che subito si aprì magicamente: all’interno c’erano macchine strane, in disuso, che mettevano spavento al solo vederle. Spiritello spiegò che erano strumenti di tortura e Sabrina immaginò le sofferenze delle persone che le avevano sperimentate: al solo pensiero si sentì accapponare la pelle.

Nella terza stanza c’erano tante statue, raffiguranti i signori che avevano dominato il castello. Spiritello glieli presentò col loro nome: avevano tutti un’espressione autoritaria ed imponente.

La quarta sala custodiva antichi oggetti preziosi: monete d’oro e d’argento di epoche diverse, dipinti di artisti famosi, abiti d’epoca sontuosi ed eleganti. Era la cosiddetta “sala del tesoro” ed era sotto la custodia degli spiritelli. A nessuno era concesso di accedere a quelle stanze e ogni tentativo veniva scoraggiato da quegli esseri fatti di pura energia, capaci di scherzi paurosi.

Nel frattempo Marco continuava il suo sonno beato. Quando al mattino si svegliò, tese un braccio verso la moglie e si rese conto che il suo posto era vuoto. La chiamò e, non ricevendo risposta, andò a vedere in bagno, ma non c’era e quando un po’ angosciato controllò la porta della stanza si accorse che era ancora chiusa dall’interno. Dove era finita Sabrina? Non poteva essersi smaterializzata! Marco si vestì in fretta e scese dal portiere.

- Mia moglie è scomparsa nella notte – gli comunicò in tono concitato – e non è passata dalla porta d’ingresso della camera.

- Come può essere? Non ci sono altre uscite nella stanza.

- Lo so, eppure è sparita. Per favore, chiami la polizia!

Il portiere telefonò immediatamente, un commissario giunse in brevissimo tempo e prese in mano la situazione ordinando ai suoi agenti di perquisire tutte le stanze dell’albergo e di interrogare le persone presenti.

Marco decise di indagare per conto proprio e tornò in camera a riflettere su cosa fare. Non c’erano motivi che potessero giustificare la sparizione di Sabrina: il loro rapporto era ottimo, non avevano problemi di alcun tipo. E, allora, perché era scomparsa? Come aveva fatto ad uscire dalla stanza? Non riusciva a darsi delle risposte, si guardava intorno e, non sapendo cosa fare e da dove cominciare, rovistava dappertutto. Percorse con le mani le pareti e all’improvviso, proprio vicino al comò, avvertì una vibrazione sottile, qualcosa che si spostava impercettibilmente. Nella parete si aprì un varco e Marco venne catapultato dall’altra parte, rotolando sul pavimento. Cercò di rialzarsi e nel buio cominciò a sentire movimenti rapidi intorno alla sua testa: battiti di ali e tagli nell’aria, proprio di fronte al suo viso, ma non vedeva nulla e nessuno.

- Chi c’è? – chiese con una voce che voleva sembrare autoritaria, ma che in realtà era impaurita e tremolante.

Cercò di tornare indietro, ma le sue mani non trovavano più alcuna apertura: il cuore gli si strinse per la paura.

- Qui i curiosi vengono puniti duramente! – disse una voce – E tu che ti sei introdotto nel nostro mondo senza essere invitato, subirai le conseguenze delle tue azioni.

Spiritello, che stava tornando sui suoi passi con Sabrina, sentì il sibilo d’allarme lanciato dai suoi fratelli. Giunto nell’androne scorse gli spiritelli volare sulla testa del malcapitato e quando illuminò la scena, Sabrina riconobbe il marito

- Marco! Come hai fatto ad arrivare qui?

- Credo d’aver seguito la tua stessa strada – rispose l’uomo – Che cosa succede? Chi sono questi esseri che fendono l’aria come spade senza farsi vedere?

- Fermatevi! – disse Spiritello ai suoi fratelli.

Poi si rivolse a Marco.

- Siamo gli spiriti del castello e difendiamo il nostro mondo da coloro che tentano di scoprirne i segreti. Tu sei fortunato, perché sei il marito di questa donna alla quale abbiamo permesso di conoscere qualcosa di noi. Ora potete ritornare alla vostra vita. Riferite pure quello che avete visto: nessuno vi crederà, però il vostro racconto servirà a tener vivo l’interesse su questo castello e sui suoi misteri, richiamando sempre nuovi visitatori che renderanno la nostra fama eterna.

Detto questo li invitò a tornare da dove erano venuti e la parete si aprì davanti a loro come per magia. Quando furono nella stanza si abbracciarono commossi per essersi ritrovati e notarono che la parete di fronte a loro era liscia, senza segni che facessero pensare ad una qualsiasi apertura.

- Cosa racconterò ora al commissario? – chiese la donna.

- La verità, tanto non ci crederà – le rispose il marito.

Scesero insieme in portineria dove tutti erano in fermento a causa loro: il portiere si aggirava per la hall preoccupato della pessima pubblicità che avrebbe fatto all’albergo quella sparizione. Gli agenti rovistavano dappertutto alla ricerca di indizi, mentre il commissario dava ordini a destra e a manca e gli ospiti, incuriositi, cercavano di capire il motivo di tutta quella confusione.

Marco e Sabrina si avvicinarono al commissario che si girò squadrandoli con aria incredula

- Ma lei da dove spunta? – chiese – Guardi che confusione ha causato!

- Mi dispiace, io non ne ho colpa – si difese Sabrina – tutto è accaduto indipendentemente dalla mia volontà, glielo assicuro!

E raccontò per filo e per segno l’accaduto.

L’uomo l’ascoltò in silenzio e con molta attenzione.

- Non penserà che io possa credere a quello che sta dicendo? – disse alla fine – Voglio sapere la verità!

Sabrina ricordò le parole di Spiritello e comprese che nessuno avrebbe mai creduto alla verità. Pensò allora che sarebbe stata più credibile una bugia.

- Scherzavo, signor commissario – si corresse – e le chiedo scusa. Mi sono allontanata senza conoscere la zona e mi sono persa. Per fortuna Marco è riuscito a ritrovarmi.

- Resta ancora un nodo da sciogliere: come ha fatto ad uscire dalla stanza senza aprire la porta?

- E’ stato mio marito a chiuderla dietro di me, appena sono uscita, senza rendersene conto. Quando è stanco ed ha sonno non connette più ed agisce quasi in ipnosi.

Intanto che parlava stringeva la mano di Marco in una tacita richiesta di complicità. Marco, contento che tutto si fosse concluso per il meglio, la rassicurò ricambiando la sua stretta.

L’importante era trovarsi di nuovo insieme, arricchiti da un’esperienza riservata soltanto a loro.

 

 

Anna Manzo

*Incipit tratto da Tre volte all'alba di Alessandro Baricco

 

Lista "Fiabe e misteri"
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